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Intervista con Emilio Salgari


La famosa, unica intervista che si conosca rilasciata da Salgari e pubblicata nel gennaio 1910 su “Il Don Marzio” di Napoli a firma A. (Antonio) Casulli. Anche in questa occasione, Salgari ripeté molte delle sue bugie.
a cura di Felice Pozzo


Salgari dayaki

In casa di Emilio Salgari

(al mondo piccino)
(corrispondenza particolare al "Don Marzio") Torino, 9 gennaio


Chi è il Salgari? Qualche lettore lo ignora? Ebbene, io lo mando in Francia, in Spagna, in Germania, in Boemia, dove i romanzi di Emilio Salgari, tradotti e stampati con una eleganza rara e con profusione di leggiadre vignette, fanno un giro entusiastico nelle famiglie. In Italia? Ma tutti lo conosciamo di nome, tutti ricordia mo quella meravigliosa trama di avventure che il fecondo scrittore veronese ha fissa to in più che cento lavori.

Dai dieci ai quindici anni, talvolta sino ai venti, e non troppo di rado anche più in là, il Salgari è una istituzione. Le famiglie, spinte da riflessioni economiche si disperano; ma i bambini e i giovanotti si infiammano ed esaltano il loro romanziere. M'infiammavo io pure, ricordo, nei bei dì che rimpiango; e guardavo ad Emilio Salgari come ad una constellazione, come a un dio. Così ho provato un acuto desiderio di vederlo, di parlargli, ora che la vita e il codice" hanno spento la fantasia dell'avventura; e sono andato a trovarlo in via del Pilone, in faccia ai verdi colli di Superga, a fianco di Torino regale.

Ho chiesto ad un bravo piemontese, lungo la strada:

- Dov'è villa Levi?

- Un pochino più giù. Ma se lei cerca del capitano Salgari, non lo trova. Ha cambiato casa. Adesso, vede, abita là.

E m'indicava una casetta modesta, im mezzo alla fresca campagna del Pilone.

Un piccolo cancello di ferro è il portone della villa. La villa è una costruzione semplice ed umile, fra un vigneto ed un orto. L'aria invernale del Piemonte rinfrescava gli effluvi incantevoli di Superga ed un vocio allegro di bambini che si rincorrevano nel giardino.

I bambini erano i figli dello scrittore. Tre diavoletti pieni d'intelligenza e di muscoli, cresciuti al sole ed alla rigida brina: Romero, Omar e Nadir, il più grandicello, che ha quattordici anni e fà il suo bravo corso tecnico ed ama le carabine e le pistole come l'omonimo eroe del «Re della Montagna».

- Vede? Sempre così. E una disperazione - E la signora Salgari, rivolgendo ai suoi cari birboncelli uno sguardo di affetto, m'introdusse nel salotto. Un salotto che è anche una camera da pranzo e camera da studio. Provai una strana impressione.

La semplicità della casa e la schietta cortesia degli abitatori si accordano e si completano. Nemmeno l'ombra del lusso. In quella famiglia tutto è semplicità, intelligenza ed energia. La signora di Emilio Salgari è una di quelle creature nate, come il sole, per riscaldare ed illuminare la santità della vita famigliare. Al di là del marito e dei figliuoli non vuol guardare: sì che dalla sua parola, dai suoi occhi, dalla sua persona emana un antico fascino di bontà, di sincerità, di cortesia, di affetto.

Salgari dayaki

- Ecco il tavolo di mio marito! Ed ecco la sua libreria!...

Mi accennava, sorridendo di un sorriso franco e vivace, un tavolinetto ed un armadio: sul tavolinetto il calamaio ed alcune cartelle; sull'armadio una baraonda di volumi, di fascicoli, di riviste, di giornali.

- Oh! Mio marito è un disordinatore. Una volta mi provai a mettere un po' d'ordine. Ma inutilmente. Siamo da capo.

Entrò Romero, un caro bambino che ha uno sguardo svelto e nero: - Papà viene subito. È in giardino...

Ed Emilio Salgari, il grande scrittore dei fanciulli, l'idolo dell'infanzia, la tortura delle mamme economiche, il celebratore del mare, venne in salotto. Stringendo la sua mano, io ritornavo fanciullo. Santa cosa essere fanciulli! Dinanzi a quell'uomo sentivo di rivivere un lembo di vita trascorsa: la bella vita che si compiace delle avventure, dei viaggi, delle fantastiche lotte di uomini e di elementi in terre lontane o diverse. E i nomi dimenticati degli eroi mi tornarono lucidamente alla memoria: Sandokan, lanez, Nadir, il Corsaro Nero, Kamamuri... Vecchi amici che ritrovavo e salutavo con piacere.

- Anch'io, cavalier Salgari, seguivo con animo trepidante le vicende dei suoi personaggi. E quante ore felici trascorrevo con i suoi romanzi...

- Ma sa – rispose lo scrittore – che ogni giorno ricevo lettere insolenti dalle madri italiane?

Risi. Egli no. Già, nelle creature dei suoi libri v'è un po' della fibra di quest'uomo. Gli occhi spirano bontà che è diffusa nella famiglia; ma sono anche seri, di una serietà concentrata, quasi severa. La sua parola è forte, lenta; talvolta, rapida, come impulsiva. Vi è, in lui, il marinaio, l'antico capitano di velieri, uso a giocare con le tempeste e coi selvaggi ed a cacciare gli squali; e v'è lo scrittore, l'uomo di pensiero, che deve disciplinare sul ristretto ambito delle cartelle la colossale vita delle onde, degli abissi e delle foreste. Una specie di contrasto psichico che determina un simpatico accordo di due nature opposte; una specie di dissidio intimo da cui scaturisce una figura temprata di pensiero e d'azione. Insisto su questo. Forse, una tale fusione di energie differenti è il segreto del fascino onde il Salgari afferra ed attira l'irrequieto mondo dei fanciulli. Attorno a lui, che introduceva in Italia il genere letterario dei Cooper e dei Verne, è sorta, imitando o rubando, tutta una scuola di giovani romanzieri. Ma i fanciulli non ne vogliono sapere: vogliono lui, il papà, il gran maestro delle fantasie. Perchè? Perchè nei giovani v'è, quando vi è, soltanto un po' di fosforescenza di stile; mentre in lui, in Emilio Salgari, v'è la fosforescenza del mare, perchè l'ha vista negli oceani, perchè l'ha appresa dal libro grandioso della natura.

- Mi dica, cavaliere, della sua carriera, della sua vita, dei suoi viaggi.

- Posso dirle in poche parole la mia vita. Ho studiato poco ed ho viaggiato molto, arrivando sino allo stretto di Bering. A Verona, dove son nato, ho fatto le scuole tecniche. Poi, siccome mio padre aveva altre idee, scagliai il calamaio sulla cattedra e andai a Venezia, per studi nautici, e fui dopo tre anni capitano di lungo corso. Avevo una ventina d'anni; era l'82 o l'83. E viaggiai, viaggiai... Ho visto il mondo. Sempre in velieri, osservando e fumando montagne di tabacco. In un viaggio stetti sei mesi in navigazione con una sola breve fermata a Ceylon, perchè crivellato dai rosicanti. Il mio primo romanzo, il «Re della Montagna», risale all'81 o all'85. Ho scritto tanto che non rammento più nemmeno i titoli...

- Prima però ha fatto il giornalista e il novelliere?

- Si. Ho fatto il giornalista a Verona, giovanotto. Ebbi un duello, spaccai la testa all'avversario e piantai il giornalismo. Anche il novelliere, ma nei primi anni della giovinezza.

Emilio Salgari parla accentuando le parole con la forza del vecchio lupo del mare. Non troppo alto, e piuttosto robusto, l'aspetto è simpatico, risoluto, aperto; gli occhi brillanti e decisi; fieri ma buoni. Veste severamente di nero, con l'immancabile marsina dei vecchi capitani di mare. In bocca l'eterna sigaretta.

- Fumatore arrabbiato, non è vero, signora? - Fuma sempre, sempre - rispose la dolcissima dama veneta - come lanez!

Ianez: l'amico di tutti i fanciulli d'Europa. Una celebrità nel mondo dei bambini. Emilio Salgari non è uno psicologo, non potrebbe esserlo, perchè deve scrivere tre libri ogni anno, perchè deve campar la vita col lavoro quotidiano, questo scrittore vertiginoso che ha arricchito editori ed è rimasto povero. Ma lanez è una figura rivelata e scolpita con arte magistrale, è uno studio riuscito di anima: forte, generoso, flemmatico, padrone delle tempeste e delle battaglie, astuto e buono questo figlio della fantasiosa mente dello scrittore veronese è l'idolo di quel popolo immenso e caro che sono i fanciulli. La gentile signora Salgari lo citava e ricordava come una persona di famiglia.

- Ricorda lanez? Ebbene, eccolo lì: è mio marito!

Lo scrittore sorrise. Era un sorriso dolce. I suoi occhi, in quell'istante, si perdettero in una visione di avventure. Vedeva il suo personaggio, il suo lanez, il suo eroe, ancora una volta combattere e trionfare nel vago mondo delle concezioni! Strana, simpaticamente strana la vita di questo singolare romanziere.

- Veda, i medici mi hanno consigliato il riposo. Soffro di nevrastenia acuta. Ma non saprei vivere lontano dai miei personaggi. Staccarmi dalle mie fantasie vorrebbe dire togliermi la ragione logica dell'esistenza. È inutile! Soffro lo «spleen» degli inglesi e sento il bisogno per non morire di noia, di seguire le mie chimere nel mondo dei personaggi e di rivivere nella creazione le avventure che ho vissuto in India o sulle coste della Groenlandia.

- E lavora molto?

Rispose la signora, diventata a un tratto seria, preoccupata, quasi piangente. Adora il marito, non per orgoglio, ma per impulso di cuore, del suo gran cuore veneto di moglie e di madre.

- Troppo, lavora troppo. Cinque ore al giorno. E la mente è affaticata. Non si direbbe, a vederlo, che soffra. Eppure soffre molto. Ha il sistema nervoso irritabilissimo...

- Ma che? - rispose il vecchio lupo di mare. – È la solita malattia degli scrittori. La nevrastenia. Non bisogna pensarci.

- Ma si riposi per un paio d'anni, cavaliere. Si rimetta bene. Faccia uno strappo alle sue abitudini. Imponga il riposo al suo cervello. Poi ritornerà al lavoro con maggior lena...

- Non mi sarebbe possibile. Anzi tutto, ho un contratto col Bemporad. Devo lavorare perchè devo pensare alla famiglia, devo vivere...

Confesso che mi aspettavo un altro Salgari. Un uomo che ha scritto cento romanzi dovrebbe essere agiato: ricco, quando questi cento romanzi sono i più diffusi nel mondo. Oh gli editori!

Donath di Genova, un povero diavolo di tedesco venuto in Italia a tentar la fortuna, è un signore, un editore ricchissimo grazie ad Emilio Salgari. Ed Emilio Salgari vive alla giornata, lottando con la nevrastenia e con le esigenze della vita. E vero che Donath è commerciante...

- Ho un contratto con Bemporad, piuttosto lungo. Risolverlo significherebbe pagare una forte somma. L'ho pagata al Donath, col quale ho rotto violentemente i rapporti…

Emilio Salgari ha avuto molti editori: dal Guigoni ai Treves, dal Voghera allo Speirani, dal Paravia al Cogliati al Donath, al Bemporad. Il Donath che ha stampato i libri più belli nel più fortunato periodo, non rammenta più, forse, il nome del suo romanziere. Memoria di commercianti.

- Ma festeggiamo l'ultimo giorno dell'anno. Lasciamo le malinconie – disse lo scrittore - Romero, chiama Fatima.

Venne Fatima, la leggiadra signorina, la nota soave della famiglia Salgari. È una fanciulla bella, forte, vigorosa dagli occhi neri e dolci. Il suo nome è un delicato nome arabo, preso, come i nomi dei tre fratellini da uno dei tanti graziosi romanzi. Studia canto, da una insigne maestra di Torino, la Landi.

- Cantaci qualche cosa, Fatima..., - disse suo padre.

E la bella signorina cantò senza preamboli, schietta, disinvolta una romanza napoletana, alcune belle romanze francesi ed un po' del «Trovatore» e dell'«Aida». Ha belle note di contralto e molto sentimento, fra non molto, una nostra artista valorosa. Nonostante i suoi quindici anni, ha cantato al «Circolo dei meridionali ed ha ottenuto un trionfo.

- E beviamo, alla marinara...

Lo scrittore era diventato allegro. E la sua allegria si espandeva nella stanza risonante della limpida voce della giovinetta.

Bevemmo un vino stupendo dei colli di Superga, sincero come la cortesia e l'affetto di quella fiorente famiglia.

- Oggi, riposo. Ho lavorato tre ore stamane, è basta. Del resto, la coscienza è tranquilla: è l'ultimo giorno dell'anno.

Mi sentivo intimo, come di famiglia, in quella casa affettuosa: e trascorrevo ore felici. È una piccola festa. Lontano dalla famiglia, io, qua in Torino non avrei potuto chiudere questo anno in modo più franco e più sereno.

La fama, questo bacillo che troppe volte deturpa o infetta, non ha sconvolto Emilio Salgari. È sempre il vecchio marinaio, il marinaio della prima giovinezza questo simpatico scrittore che oggi si avvicina alla cinquantina ed avvince con la sua semplicità di vita, di modi, di parola.

- Viviamo in campagna, fuori mano – dice la signora – per respirare l'aria pura di Superga. Mio marito ama la campagna: ed ogni tanto va fuori e si riposa e si ritempra passeggiando nel giardino. Siamo lontani dai teatri, dalle feste, dai ritrovi. I bimbi sono in collegio, Fatima va tre volte la settimana a Torino per le sue lezioni di canto, ed io son qua, sempre qua. Ci sacrifichiamo per lui.

E sorrideva, rivolgendo allo scrittore, immerso nella nebbia delle sigarette, un broncio di affetto infinito.

- Nadir - disse il Salgari – prendi la vecchia carabina... Vede! Con questa carabina inglese io davo la caccia agli squali. Acciaio di rasoio! Robusta, impareggiabile.

Era un vecchio fucile ad una canna, di un forte spessore. - Quanti fanciulli desidererebbero vederlo, cavaliere, e veder Lei.

Ma stiamo in campagna per questo. A Torino, anni fa, tutti i santi giorni ricevevo gli omaggi dei miei piccoli lettori. Se dovessi rispondere a tutti quelli che mi scrivono, a tutti quelli che mi mandano le fotografie, dovrei pensare solo alla posta... Devo lavorare; non ho tempo da perdere.

Poi:

- E Omar? Ecco il nostro indiano! Vede che profilo indiano? E Romero? Tutti pieni di pugnaletti e di pistole.

- Una disperazione – disse la signora.

- Dove andrai Nadir, quando sarai grande?

- Nella Pampa, - rispose il giovinetto.

Ridemmo. L'intendimento di tutti i lettori del Salgari: all'avventura!...

Salutai la famiglia ospitale con auguri che mi venivano dal cuore. Vollero tutti accompagnarmi sino al giardino. Nadir venne al cancello.

Il cav. Salgari mi guardava affettuosamente, dalla piazzetta della palazzina. Sullo sfondo della campagna verde, quel brav’uomo, che mi aveva deliziato nell'infanzia, mi intenerì l'anima profondamente.

(A. Casulli)



Altre “carte” – c'è da augurarsi – daranno luce alle ombre che ancora impediscono di conoscere ed apprezzare pienamente il nostro più grande scrittore d'avventure di tutti i tempi, giacché l'esigenza d'una esauriente biografia salgariana è ormai corale e indilazionabile.

a cura di Felice Pozzo

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