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I naufraghi dello Spitzberg

Capitolo 1: Il disastro delle navi baleniere


NEL POMERIGGIO DEL 29 settembre 1875, un’insolita animazione regnava nei vasti e famosi stabilimenti dell’isoletta di Vadsò, di proprietà del signor Foyn, il celebre pescatore di balene e ricchissimo armatore del Varangefiord. Ogni lavoro era stato sospeso sotto le immense tettoie che si estendevano, in tutti i versi, da una estremità all’altra delle sponde dell’isoletta; i fonditori di grascia avevano abbandonate le gigantesche caldaie ove ribolliva, spandendo all’intorno nubi di fumo nero e nauseabondo, il lardo delle gigantesche balene; gli squartatori avevano lasciate le loro scuri e le loro pale taglienti, luride di grasso e di sangue, e più non si occupavano di scarnare le enormi teste dei cetacei; i facchini più non si occupavano di regolare le battute degli immani pestelli destinati a ridurre in polvere costole di dimensioni paurose; i garzoni avevano lasciati i loro carri carichi di brandelli di carnaccia sanguinolente, che dovevano servire alla fabbricazione dei concimi, e perfino i marinai ed i fiocinieri avevano abbandonate le piccole navi ancorate nel canale, scendendo a terra. Gruppi di persone si erano radunati entro e fuori delle tettoie, e tutti quei norvegiani, ordinariamente così tranquilli e flemmatici, discutevano con calore, incrociando domande e risposte.

– Ma che sia vero? – chiedevano gli uni, con una viva ansietà.

– Sì, sì – rispondevano gli altri.

– E sono rimasti presi dai ghiacci?

– Così si dice.

– Ma dove?

– All’isola degli Orsi.

– No, alla Nova Semlia.

– Mai più! Allo Spitzberg.

– Ma volevano andare al polo?... Si trovano balene anche sulle coste del Finmark, senza andarle a cercare così lontano.

– Una bella pazzia!...

– Che costerà cara al signor Foyn.

– Lui!... Eh via, ha dei milioni lui!...

– Ma si parla di due navi.

– Di tre.

– Di mezza flotta!

– Che disastro!...

– E sono tutti morti?

– No, sono naufragati.

– Ma sì, i ghiacci hanno fracassate le navi.

– Ma chi ha recata la notizia?

– Un capitano baleniere l’ha mandata ad Hammerfest.

– E non verrà qui lui?

– Giungerà fra pochi minuti, col piroscafo costiero.

– Che si vede già – disse un fiociniere, il quale, essendo più alto di tutti, poteva scorgere la costa norvegiana meglio degli altri. – Ecco il Grimsey che entra nel Varangefiord a tutto vapore.

– Ma no, mi pare un piroscafo inglese – dissero alcuni.

– No, è il Grimsey di Hammerfest e si dirige precisamente qui – gridarono gli altri. – Ecco il signor Foyn che si reca allo scalo.

– Andiamo a vedere – gridarono tutti, dirigendosi confusamente verso la sponda.

Il signor Foyn li aveva preceduti e passeggiava sulla gettata con una certa impazienza, senza staccare gli sguardi dal Grimsey, uno svelto e rapido steamer che filava a tutto vapore nel largo canale del Varangefiord.

Il ricco proprietario di quelle grandiose officine aveva in quell’epoca quarantacinque o quarant’otto anni. Era un uomo alto quanto un granatiere, di forme massicce, con braccia e gambe muscolose, spalle larghissime, colla testa coperta d’una capigliatura folta e ruvida, il viso energico, coi lineamenti un po’ angolosi, gli occhi d’un azzurro profondo e una barba tagliata a becco, un poco brizzolata.

Nativo della Norvegia meridionale, nella sua gioventù era stato un povero diavolo. Aveva fatto dapprima il mozzo, poi il marinaio, quindi il fiociniere, più tardi il pescatore per proprio conto, ed a trentacinque anni aveva accumulati parecchi milioni ed aveva avuto l’onore di farsi visitare da Oscar II, durante il viaggio intrapreso da questo re lungo le coste del Finmark.

La sua fortuna l’aveva dovuta alla pesca della balena, e soprattutto ai miglioramenti introdotti nella pesca di quei giganti del mare.

Era stato il primo ad abbandonare il secolare rampone, arma eccellente sì, ma pericolosa contro quei cetacei poderosi e non sempre fortunata, per adottare i proiettili esplosivi ed a punta.

Avendo ottenuto dei successi meravigliosi, e arricchitosi rapidamente, aveva abbandonata la sua pericolosa carriera per dedicarsi ad una industria che doveva renderlo celebre in tutta la Norvegia e fra tutti i pescatori di balene del globo.

Egli aveva a lungo rimpiante le carcasse delle balene che aveva dovuto abbandonare in mare, dopo di averle spogliate del grasso. Egli aveva presto compreso che da quegli ammassi di carne e di ossa poteva trarre ancora delle ricchezze pari a quelle che davano l’olio, se si avesse potuto rimorchiarle a terra, e si era dato corpo ed anima a cercare il mezzo per realizzare i suoi progetti.

Stabilitosi in una isoletta situata di fronte a Vadsò, l’ultima del Varangefiord, aveva fatto innalzare quei grandiosi stabilimenti che anche oggi sono invidiati da tutti i pescatori di balene e che rendono, al suo proprietario, parecchi milioni all’anno.

Ormai più nulla va perduto dei giganteschi corpi delle balene, pescate dalle rapide navi del signor Foyn, nei mari del nord.

Un piano inclinato, scavato nella roccia, riceve l’enorme corpo del cetaceo.

Appena la bassa marea lo lascia allo scoperto, un centinaio di squartatori lo circonda e lo priva del grasso destinato a venire fuso nelle grandi caldaie che si trovano collocate sotto delle tettoie.

Tosto il carcame viene sezionato. Le ossa mostruose vengono portate nella sala dei piloni, ridotte in polvere e quindi convertite in nerofumo; le carni vengono portate in buche profonde, lasciate marcire, e convertite in un guano eccellente destinato a fertilizzare i campi; i tendini e certe parti molli vengono sottoposte a processi speciali e quindi messe in commercio sotto forma di colla.

Il signor Foyn in tal modo aveva raddoppiato i guadagni che ricavava dalla presa dei giganti del mare, perché ormai tutto utilizzava: il lardo, la carne, i tendini e perfino le ossa.



***



Una scialuppa, staccatasi dai fianchi dello steamer segnalato e montata da quattro marinai e da un timoniere, in pochi minuti aveva attraversato il canale approdando dinanzi alla piccola gettata, sulla quale si trovava il signor Foyn.

L’uomo che fino allora aveva tenuta la barra del timone, balzò agilmente a terra, quantunque portasse il pesante capotto da mare e calzasse lunghi e grossi stivali.

Per altezza e per forme poteva gareggiare col ricco baleniere di Vadsò, ma doveva essere più giovane di qualche mezza dozzina d’anni. Era un bell’uomo dai lineamenti un po’ duri però, dalla pelle bianchissima come hanno in generale i popoli nordici e specialmente i norvegiani delle alte coste, cogli occhi di un azzurro cupo che tradivano un’audacia non comune, colle labbra sottili, ombreggiate da baffi biondi e una folta capigliatura pure bionda.

Vestiva come un marinaio, ma sul capo portava un berretto adorno di un gallone d’oro, distintivo di comandante.

– Il signor Foyn? – chiese, toccandosi il berretto.

– Sono io – rispose il proprietario degli stabilimenti.

I due uomini si guardarono qualche istante con reciproca curiosità, poi il primo continuò:

– Avete ricevuto il mio dispaccio da Hammerfest?

– Sì, signor Tompson, e vi ringrazio di essere venuto, ma vi pagherò largamente il tempo che avete perduto per me.

– Avevo terminato lo scarico, signor Foyn, e più nulla mi tratteneva ad Hammerfest. La stagione della pesca è quasi terminata e non contavo di riprendere il mare per le regioni del nord.

– Volete seguirmi nel mio alloggio? Parleremo meglio.

– Sono a vostra disposizione.

Il ricco proprietario si diresse verso una piccola abitazione colle pareti dipinte in rosso, che sorgeva all’estremità della gettata, e introdusse il signor Tompson in un gabinetto arredato elegantemente e adorno di ramponi artisticamente raggruppati e di trofei di ossa e di barbigli di balene.

Lo fece sedere in una comoda poltrona, poi colmati due bicchieri di ginepro, si sedette, dicendo con una certa emozione che invano cercava di nascondere:

– Parlate, signor Tompson. È vero adunque? Tutti perduti?

– Che siano tutti perduti, io non lo so, ma che una disgrazia sia accaduta è ormai cosa certa, perché il rottame da me trovato era un pezzo di fasciame della poppa e vi si leggeva nettamente il nome.

– Narratemi tutto, signor Tompson.

– Una parola prima, signor Foyn.

– Parlate.

– Il Gotheborg faceva parte della flotta dei vostri balenieri?

– Sì.

– Ma... non è tornata alcuna nave della vostra flotta?

– Solamente la prima squadra che si era recata nell’isola degli Orsi; ma non la seconda che si era diretta alle Spitzberg.

– Di quali navi si componeva la seconda?

– Di due: la Tornea ed il Gotheborg.

– Quanti uomini montavano quelle navi?

– Sessantasette.

– Diavolo!... Erano navi a vapore?

– No, entrambe a vela. Le navi a vapore le tengo presso di me, essendo incaricate della pesca lungo le coste del Finmark e del Varangefiord per poter utilizzare le carcasse dei cetacei.

«Quest’anno le balene s’erano mostrate scarse sulle nostre coste, ed ho avuto la poco fortunata idea di mandare i miei velieri molto al nord, essendo stato informato che i cetacei abbondavano fra l’isola degli Orsi e le Spitzberg.»

– E vi avevano informato bene, signor Foyn. Mi sono diretto anch’io verso l’isola degli Orsi e in sei settimane ho potuto completare il mio carico.

– Venite al fatto, signor Tompson, vi prego.

– L’incontro del rottame l’ho fatto ventisette giorni or sono, alle undici del mattino, a quaranta miglia dall’isola degli Orsi, coste settentrionali.

«Come vi dissi, ritornavo con carico completo, frettoloso di abbandonare quei paraggi che cominciavano a diventare pericolosi. Dalle Spitzberg si staccavano delle montagne di ghiaccio navigando verso il sud, e così in grande numero, da temere di venir preso in mezzo e costretto a svernare in mezzo all’oceano. Il 5 agosto, mentre il mio skooner veleggiava fra due file di ice-bergs, urtava contro un ostacolo. Credetti che la prora avesse incontrato uno di quei ghiacci che si tengono a fior d’acqua, e che noi chiamiamo palk, ma vedendo sfuggire qualche cosa di nero lungo il tribordo, comandai ai miei marinai d’imbrogliare le vele e di cercare di mettere la nave in panna. M’accorsi subito che avevamo urtato contro il rottame di una nave. Feci calare in mare la piccola baleniera e mi recai ad abbordarlo.

«Come vi dissi, era un pezzo di poppa di una nave, una parte della murata, un pezzo di ponte e tutta la parte posteriore del quadro, col timone ancora appeso ai cardini, ma spezzato a metà.

«Sul fasciame, in lettere dorate, si leggeva Gotheborg-Vadsò.

«Sospettai subito che dovesse essere una delle vostre navi, ed esaminai accuratamente quell’avanzo per cercare di sapere se la nave era stata fracassata dalla caduta di qualche ice-berg o se si era spezzata su qualche costa.

«Le mie indagini non riuscirono infruttuose: oggi ho la certezza che il Gotheborg si è fracassato su qualche spiaggia, probabilmente su qualche isola delle Spitzberg.»

– Ma come avete potuto saperlo? – chiese il signor Foyn, con stupore.

– In modo facilissimo, signore. Tutta la fasciatura e perfino parte della murata erano ancora incrostate di fango. Come potete ben capire, quel rottame non sarebbe stato così lordo, se il Gotheborg fosse stato fracassato dalla caduta di qualche colossale ice-berg.

– È vero – disse il signor Foyn, che erasi fatto pensieroso. – Ditemi, signor Tompson, durante le vostre pesche avete sofferto delle burrasche?

– Sì, molte e terribili. Dalle Spitzberg venivano delle immense ondate, e temo che lassù il mare sia stato assai tempestoso.

– Credete che le mie due navi si siano perdute?

– Ordinariamente, quando ritornano le vostre flottiglie?

– Verso la metà del mese d’agosto.

– Sempre?

– Sempre, signor Tompson.

– Brutto indizio, se quelle due navi non sono ancora qui. Il Gotheborg, ormai lo sappiamo, è andato perduto, ma la Tornea!... Signor Foyn, volete un consiglio?

– Parlate.

– Se vi preme salvare i vostri equipaggi, fate armare una delle vostre migliori navi e mandatela alle Spitzberg senza perdere tempo. Potrebbe giungere su quelle isole prima che i grandi banchi di ghiaccio blocchino quelle coste.

– È vero, ma chi oserà lanciarsi verso il nord, ai primi di settembre? Alle Spitzberg è già cominciato l’inverno.

– Chi?... – disse il capitano baleniere, accarezzandosi il mento e guardando fisso il signor Foyn. – Io ho terminate le mie faccende, condotto la mia nave ad Hammerfest, fattala mettere in cantiere per le riparazioni necessarie; ho venduto i miei spermaceti e sono perciò assolutamente libero. Volete?... Non ho paura del freddo, né mi spiacerebbe passare un inverno alle Spitzberg. Mi hanno detto che lassù le renne sono numerose e che le foche ed i trichechi abbondano e penso che vi farei un piacere e che farei contemporaneamente i miei interessi. Cosa ne dite, signor Foyn?...